Dall'Espresso di questa settimana riprendiamo un reportage di Luigi Spinola e Costanza Spocci, che raccontano la storia di Babacar.
Dal Senegal al Belgio, fino al ritorno in Senegal per "convincere i ragazzi a non rischiare la vita in mare" e a rimanere a casa per cambiarla. Una storia di coraggio, di musica al servizio della comunità.
Una missione impossibile, un "sogno matto". Questa è la storia di Babacar, in arte Matador, che con il rap vuole cambiare il suo paese. E, soprattutto vuole convincere i ragazzi del Senegal a non rischiare la vita per partire per l'Europa, ma a rimanere a casa, per cambiarla. Babacar proviene da Pikine, una delle banlieue di Dakar, da dove migliaia di ragazzi ogni giorno partono, verso il nord Africa, verso la Libia, o direttamente con le piroghe verso Gibilterra. Sognano l'Europa, e rischiano la vita. Migliaia di famiglie hanno perso contatto con gli "avventurieri" che hanno provato il viaggio. Babacar ha fatto il percorso inverso. Ha deciso di tornare dall'Europa e sta provando a dare una speranza ai tanti disperati del suo paese. Lo fa proprio da Pikine, dove ha fondato un centro culturale, Africultururban, che si fa carico dei giovani più disperati, anche quelli che sono passati dalle galere, e cerca di convincerli a restare. Li forma, alla musica, all'utilizzo delle telecamere, dei computer, e molti trovano lavoro grazie a questa formazione e scelgono di restare nel paese.
Matador per molti è un matto, perchè ha abbandonato la possibilità di fare carriera con il rap a livello internazionale per sposare questa missione. Ma ha avuto ragione lui. Da anni è presidente di questa associazione, e ha "salvato" migliaia di ragazzi, avviandoli a carriere artistiche, o anche a professioni "normali". Africultururban non chiede niente ai ragazzi, se non rispetto delle regole, degli orari. Ospitata nel complesso culturale dedicato al presidente poeta Leopold Sedar Senghor, Matador e la sua associazione, che continua a crescere, svolgono principalmente un compito formativo. In un paese dove tutti i ragazzi, vista l'estrema povertà, abbandonano subito la scuola, spesso diventando criminali, in attesa della prima imbarcazione di fortuna che li porterà in Europa. Questo si un "sogno matto", dato che molti di loro perderanno la vita in mare, o nei deserti da attraversare per arrivare in Libia.
"Noi diamo ai ragazzi una seconda chanche - spiega Babacar - l'opportunità di avere una formazione, soprattutto nelle nuove tecnologie, che è introvabile in Senegal. Puntiamo alla formazione d'eccellenza in un contesto povero". E spesso questi ragazzi colgono l'occasione, si costruiscono un mestiere, una famiglia, rimangono, in Senegal, per cambiarlo.
Continua a fare rap Matador, a incalzare le autorità del Senegal con i suoi testi, e fa politica. Non chiede assistenza al governo. Chiede che siano sostenuti i tanti progetti che la sua associazione propone. Crea speranza, crea lavoro. Il tutto per "evitare di perdere altri giovani in mare". Giovani che restando e credendoci possono invece dare un futuro diverso al Senegal. "Il paese non sarà ricostruito dagli Europei, ma dai senegalesi. Ma se non diamo loro la possibilità di fare qualcosa saranno costretti a partire". Non molla Matador, che anzi sta facendo crescere l'associazione e ha trovato la collaborazione di numerosi artisti e professionisti, anche se proprio in questo periodo molti giovani stanno riprendendo la via del mare direttamente per la Gibilterra. Non molla e non mollerà... è la cultura urban che glielo ha insegnato. Lotta per il suo paese, senza pensare al Belgio, alle ricchezze che avrebbe potuto accumulare restando in Europa. Sogna, lotta, canta, e forma e salva giovani. Un eroe.
Grazie all'Espresso che ci ha permesso di conoscere la storia di Matador, della cultura urban che è politica per il cambiamento del Senegal.